L’anello


Adorava scavare buche nella sabbia. Al mare lo faceva sempre, fin da piccolo. Si metteva a non più di due metri dal bagnasciuga e ci dava dentro finché non spuntava l’acqua. Poi cercava di arginarne l’effetto distruttivo sulle pareti della piccola caverna che ne veniva fuori. Sempre inutilmente. Era una di quelle attività che non serviva assolutamente a nulla, salvo che a distrarre la mente con un compito impossibile. Come svuotare il mare con un secchiello. Un gioco innocente e senza senso. Un diversivo contro la noia.

Solo che questa volta tutto era andato in modo decisamente diverso dal solito. Se ne era accorto quando quella che gli pareva essere un sasso più lucido delle altre, una volta ripulita dalla sabbia e dal sale si era rivelata essere una pietra molto particolare. Un diamante o uno zircone, vai a sapere. Ma comunque qualcosa di incongruo. Fuori posto. Qualcosa di strano, come l’anello argentato (o era oro bianco?) che la sosteneva, e il dito candido, affusolato, assurdamente elegante con la sua unghia rosso fuoco, intorno al quale era avvinghiato. Senza più nessuna mano a sostenerlo.

Dopo esserselo rigirato qualche istante fra le mani, stando ben attento a non tirarlo fuori dalla buca, lo appoggiò nuovamente sul fondo. Non sembrava essere stato tagliato di recente, ma d’altra parte chi poteva saperlo? Non aveva mai visto un dito mozzato in vita sua. È solo che se fosse stato immerso per molto tempo là nell’umido forse si sarebbe dovuto decomporre di più. In ogni caso non se la sentiva di chiedere informazioni ai bagnanti. Comunque non gli faceva schifo. Anche perché dopo questa breve divagazione anatomica, la sua attenzione fu subito riconquistata dall’anello. Semplice ed elegante al tempo stesso. Sicuramente di valore, visto che la pietra era tanto grossa da fare a gara per rotondità con una delle nocche delle sue mani.

Cosa fare lo sapeva bene. Alzarsi, procurarsi un fazzoletto di carta o un asciugamano, avvolgerci dentro la sua scoperta e correre di filato dal bagnino per chiamare la polizia. Che si sarebbe occupata di transennare la zona, allontanare vecchiette curiose e bimbi vocianti, e darci dentro con domande, esami e perquisizioni. A lui per primo.

Per curiosità provò a sfilare leggermente l’anello. La pelle, dopo una stentata resistenza, si aprì come un frutto maturo, arrotolandosi su se stessa. A pensarci bene forse non era stato tanto recente, il taglio. Lasciò la presa di scatto e fece per alzarsi, vergognandosi un po’ del moto di repulsione che lo aveva preso alla gola senza preavviso. Dito e anello ricaddero nell’acqua sporca con un tonfo che sapeva tanto di medusa morta. Tirò su le gambe, incrociandole davanti allo scavo e si accorse delle prime piccole ma insistenti frane che da lì a poco avrebbero definitivamente fatto sprofondare di nuovo quella specie di reliquia fra sabbia e mozziconi.

D’un tratto far finta di nulla gli sembrò la cosa migliore. D’altra parte perché avrebbe dovuto rovinare il pomeriggio al grassone che se ne stava pancia all’aria ad arroventarsi il grasso, quando bastava aspettare qualche minuto perché il “problema” si risolvesse da solo? I bambini avrebbero potuto continuare a giocare con i loro camion di plastica simulando incidenti stradali e inondazioni improvvise. Nessuno avrebbe impedito alle mamme in attesa del loro “marito da week end” di continuare a fare le gatte morte con il bagnino e centinaia di cruciverba sarebbero stati compilati senza problemi fino all’ultima casella. Bastava aspettare.

Vincendo la ripugnanza tirò fuori il dito dall’acqua sporca. La carne rotta non faceva neanche più tanta impressione. Provò a sfilare ancora l’anello. Sarebbero bastati pochi millimetri e poi sarebbe praticamente venuto via da solo. Magari portava inciso sul lato interno il nome della proprietaria. Avrebbe potuto essere un indizio importante per la polizia. Pelle e carne si arricciarono ancora un po’ prima di cedere del tutto, accompagnando l’anello fra le dita, integre, del suo nuovo proprietario. Niente nome però. Né dediche o altro. Il metallo era opaco ma era sicuro che sarebbe bastato darci dentro nel modo giusto per farlo tornare lucido come appena uscito dall’orefice. Giusto per non perderlo se lo mise nella tasca del costume, mentre con l’altra mano riponeva quel dito sconosciuto sul fondo della piccola caverna da cui l’aveva salvato. Per guardarlo scomparire sotto una valanga di sabbia umida insieme a quel buco scavato con tanta passione. Prese un sasso bianco e piatto e segnò il punto esatto sulla spiaggia, per poterlo ritrovare senza problemi quando sarebbero arrivati gli agenti.

Qualche minuto più tardi si sedette davanti a un bicchiere di the ghiacciato. Da dove si trovava, un’elegante anche se rustica terrazza di legno vista mare, non riusciva neanche a immaginare dove fosse la sua rudimentale segnalazione. Sapeva bene, invece, dove si trovava l’anello. Ne soppesava il valore con il palmo della mano, con il cellulare inutilmente adagiato sul tavolino e il pensiero rivolto a quella sera e al compleanno di Carla, per il quale si era fatto ancora una volta trovare impreparato come uno scolaretto alla lavagna l’ultimo giorno di scuola. Si lasciò il pensiero alle spalle, afferrando il telefono e componendo il numero che si stava ripentendo mentalmente da qualche minuto. Era già la mezza passata, ma aveva avuto ragione a pensare che in certi posti c’è sempre qualcuno pronto ad ascoltarti. Poteva chiamarlo senso del dovere o chissà cos’altro, ma era sicuro che presto avrebbe sentito qualcuno dall’altro capo del filo. Nonostante tutto, però, il “pronto” gli sfuggì fuori dalle labbra a un volume insolitamente alto.

- Buongiorno, mi dica…
- Sì, buongiorno… ecco… Mi chiamo Mario Forti, sono in vacanza per qualche giorno qui a Finale e questa mattina mi è capitato di trovare un anello nella sabbia.
- Complimenti! Una giornata fortunata.
- Ecco… sì. Solo che…
- Solo che si sente in colpa e vorrebbe restituirlo?
- In effetti.
- Ma lasci perdere! Se lo tenga, dia retta a me. Chi l’ha perso aveva soltanto da tenerlo ben stretto a sé, altro che!
- Se è per questo penso ci abbia provato…
- Dice? E com’è che ce l’ha lei adesso?
- Ecco… dovremmo chiederlo alla proprietaria, non crede?
- Ma certo! Facciamo così. Venga qui da noi stasera. Diamo un occhio al gioiellino e se ne vale la pena ci diamo una bella lucidata, lo mettiamo in una scatolina et voilat, come nuovo.
- Dice?
- Ma certo! Potrebbe persino regalarlo e nessuno se ne renderebbe mai conto.
- In effetti mi farebbe anche comodo…
- E mi dica, c’ha anche una pietruzza sopra?
- Veramente la chiamerei una piccola noce.
- Splendido! Allora bisogna fare un lavoretto come si deve… Costa un po’ di più me ne varrà la pena, dia retta a noi. La aspettiamo!

“Perché non dovrei farlo?”, pensò chiudendo la comunicazione. In fondo, chiunque lo abbia perso, adesso avrà ben altro a cui pensare. “Spero”, aggiunse fra sé. Chissà poi Carla come sarebbe stata felice quella sera. Non se lo sarebbe mai aspettato, neanche nei suoi sogni più proibiti. Un anello con diamante per il compleanno! (“E un ottimo modo per garantirsi un dopo cena coi fiocchi”). Poi si alzò, pagò il conto e rimise a posto le pagine gialle di Savona e provincia, che aveva lasciato aperto sul bancone, alla voce gioiellerie.

Vaìa

Commenti da Facebook:


Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *