Pensieri umidi


Guarda l’acqua scorrere e si sente meglio. Se l’ansia aumenta lui corre ad aprire tutti i rubinetti di casa, girando le maniglie fino a fine corsa. Ascolta il rumore familiare del liquido che precipita sulla ceramica del lavandino e del bidet, sull’acciaio del lavello Franke della cucina e si sente meglio. L’acqua gorgoglia, si uniforma nel suo scorrere, si avvita su se stessa e si lascia possedere e inghiottire dal buco nero dello scarico. E lui si sente meglio.

Il suo percorso è fissato dall’opera certa e incontrovertibile dell’idraulico, dall’ingegno passato e geometrico di chi ha progettato gli scarichi. Dai collegamenti della città nascosti nel ventre molle della terra, sotto l’asfalto, lontano dagli occhi degli uomini. L’acqua non può fare a meno della via che altri hanno tracciato. Si lascia andare, si arrotola, scompare, si fonde con altra acqua proveniente da case sconosciute. Dagli scarichi di fogna dei condomini di periferia. Dai cessi ornati d’oro delle ville del precollina e dai liquami misti a foglie morte e cartacce dei tombini della strade più sporche. La sua vita è segnata, certa. Non ci sono ripensamenti o imprevisti, non servono prese di posizione, né lotte, né compromessi.

Più ci pensa e più l’ansia sparisce. Perché affannarsi se l’acqua non si preoccupa del suo destino, ma preferisce farsi trasportare a occhi chiusi fino a destinazione? Perché temere a ogni bivio di sbagliare strada, pentirsi delle scelte fatte e rimpiangere quelle da fare, se l’acqua semplicemente accetta il suo destino dalla sorgente al mare? Perché darsi pena, soprattutto se ci si è sempre ricordati di pagare la bolletta dell’acquedotto per poter godere di questa psicanalisi liquida da poche lire?

Perfino a luglio, quando il pensiero delle vacanze imminenti ottenebra ogni raziocinio. O adesso, a novembre, quando il carico di lavoro giornaliero si fa tanto pesante da dimenticarsi ogni cosa? Ecco che corre sul balcone, sfidando l’aria sempre più gelida, per lanciare all’impazzata il getto del lavabo esterno. E mentre aspetta di lasciarsi portare via insieme ai propri pensieri osserva il tubo che resta secco, immobile, morto. Quando esattamente – si chiede – ha iniziato a lavorare tanto da lasciarselo sfuggire di mente?

Vaìa

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