Leggo questa mattina su Repubblica che finalmente dal 2 dicembre anche gli ultimi 70 soldati italiani rimasti in Iraq se ne torneranno a casa. Perché senza tanto clamore, come detto in campagna elettorale, gli altri 3000 circa se ne erano già venuti via nei giorni scorsi.
Non posso che essere d’accordo. Una missione sbagliata, nel posto sbagliato, al seguito delle persone sbagliate. Una missione dove abbiamo combattuto come era ovvio attendersi, anche se sotto la bandiera finta della missione di pace.
Mi resta personalmente il dolore e l’orgoglio per i troppi soldati caduti. Orgoglio, sì. Perché anche se ho sempre giudicato scellerato il comportamento del nano che ce li ha mandati per far bella figura con gli amici, erano là e ci rappresentavano, nel bene e nel male.
Certo, lo facevano per lavoro e per scelta, come ricordano alcuni di quelli che poi in piazza si comportano da cretini e si mettono a insultarli. Ma fare il soldato, nel nostro Paese, significa ancora e troppo spesso avere un lavoro fisso e retribuito. Quando l’alternativa sono il precariato e l’incertezza.
Magari qualcuno è (o era) un rambo troppo fissato. Ma quando si cade al servizio dello Stato, nell’esercito come in polizia, il rispetto è d’obbligo. Altro che "dieci, cento, mille Nassiriya"…
Vaìa