Ferrara è roso dai dubbi. O meglio, lo era. Un uomo stanco, angosciato, «diviso tra la voglia di portare in Parlamento la battaglia “pro life” e il timore di seppellirla per sempre con un insuccesso elettorale». A darci questa immagine di raro struggimento è il direttore di Panorama Maurizio Belpietro. Che dopo tante interviste in ginocchio ai grandi della terra, da Berlusconi a Cicchitto, nel numero del 6 marzo sembra aver inventato un nuovo modo di contribuire al dibattito in atto sulla legge 194, con l’intervista “per la vita”.
L’immagine che viene donata del grande ex comunista, poi socialista, poi baciapile a tradimento è quella di un uomo che dopo una grande battaglia morale con se stesso, grazie alla mail notturna di uno sconosciuto e valente collaboratore de “Il Foglio” ha deciso finalmente di sciogliere le riserve e di rispondere con un enciclico “sì” ai tanti inviti alla lotta che gli erano arrivati da più parti. “Famiglia Cristiana” e “Comunione e Liberazione” in testa.
Ma cosa è successo esattamente, si chiederà il lettore angosciato? «Come mi è stato insegnato – spiega il Giulianone nazionale – quando c’è un impulso di coscienza rettamente formato bisogna proseguire. Il mio si è formato in modo tortuoso, non religioso, ma è un impulso chiarissimo. Per cui, con cuore allegro, farò una campagna elettorale civilissima, senza fanatismi, imponendo
un tema». Una precisazione non da poco, visto il clima di questi mesi.
Ma andiamo avanti. I vescovi, meglio dirlo subito, con questo cambio d’umore non c’entrano niente. Anche se, come lo stesso Ferrara ammette e come un po’ tutti sospettavano, «ho ragione di credere che, pur senza farsi coinvolgere direttamente, l’esperimento di una lista su un tema generale e culturale come quello della vita ai vescovi non dispiaccia». Con moderazione, però. Senza fanatismi. Manca purtroppo la benedizione diretta di Papa Ratzinger, sostituito degnamente dall’invito ad andare avanti di Badget Bozzo. Anche se herr Papa, Giulianone l’ha incontrato eccome. E meno male che c’era Simona, la cassiera del bar, perché sennò avrebbe rischiato di mancare «l’appuntamento con quella carismatica figura». Eh sì, perché mentre faceva colazione ignaro di tutto è stata lei a ricordargli che l’indomani il Santo Padre sarebbe andato in visita alla loro parrocchia. Simona, santa subito!
Toccato dal potere del Fato, anche Belpietro si ricorda di porre la domanda chiave. Ma tu, caro Ferrara, che sei nato in una famiglia “comunista così”, come avrebbe detto Mario Brega alzando tutti e due i pugni in aria, com’è che sei diventato tanto devoto? Silenzio in sala. Si torna agli anni Sessanta, nell’Italia allegra e semplice del boom. Con il piccolo Giulianino stregato prima dalla decappottabile di Paolo VI e poi, più cresciutello, da San Bonaventura. Trattenete le lacrime e leggete insieme a noi: «Un giorno, mentre tornavo da scuola con i libri sottobraccio, vidi Paolo VI. Allora non c’erano tutte le misure di sicurezza che ci sono oggi e ci si poteva avvicinare. Il Papa stava su una Mercedes nera, decappottabile, e mi fece molta impressione».
Come no, certo. Ma da qui a diventare crociati ce ne passa… «Ma tu non avevi un’educazione religiosa…», chiede astutamente Belpietro. «La mia era una famiglia di atei materialisti (che bello, ma allora esistevano davvero! Ndr) anche se i miei si erano sposati davanti al prete, perché in quegli anni la linea di Palmiro Togliatti era d’intesa con la Chiesa e il Pci invitava i suoi dirigenti al matrimonio cristiano. Però non aver avuto un’educazione religiosa è il mio cruccio. Ho scoperto tardi la teologia. […] Ho cominciato a leggere Itinerarium mentis in Deum di San Bonaventura a 17 anni». E così via, fra una rivelazione e l’altra, alla scoperta di un uomo ancora lontano da una conversione tradizionale («Ho fede nel senso che ho fiducia»), senza particolari bisogni di confessarsi e molto attento al senso del peccato.
Dopo queste righe edificanti sull’ex comunista rinato, passiamo al nocciolo della questione. Ed ecco lo scoop, anche Ferrara è passato fra le pieghe tragiche di un aborto e oggi ne è pentito. Ma queste sono questioni personali, sulle quali non bisogna indugiare. Torniamo allora al suo messaggio politico: «Al Senato votate chi volete, alla Camera scegliete una lista contro l’eugenetica e l’indifferenza morale verso il maltrattamento della vita umana. Se lo troveranno lì, il nostro simbolo, nella cabina elettorale: un po’come un occhio che ti guarda». Ferrara c’è, anche se non lo vedi. Gli manca solo il triangolo.
E se dovesse andare male, pazienza: « Sarò stato sconfitto io, non l’idea». Infine l’ultima confessione, molto utile in questi tempi di beppegrillismo esasperato. Qua nessuno vuol fare il politico, siamo costretti dalla missione. Perché, diciamo la verità, «mi piace discutere, far girare le idee, ma non fare il politico. Credo di non esserne neppure capace. Anzi, se non fosse la battaglia per la vita, non mi candiderei nemmeno».
Quando la religione entra in Parlamento, queste sono precisazioni da non sottovalutare. Lo specchietto per le allodole “moralmente attive” di un giornale che solo il numero prima liquidava tutto il dibattito sull’aborto con una copertina che era un esempio mondiale di banalizzazione. «A volte bastano 300 euro, i pannolini in regalo e un aiuto psicologico per non abortire». Un po’ di soldi e una pacca sulle spalle e la vita vi sorriderà, insomma. Starete mica pensando ancora da che parte stare?
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Vaìa