Ora, di me si posson dire tante cose. Non sono perfetto, anzi… Ma di certo se c’è una cosa che non si può dire è che sia un leccaculo.
Per intenderci, non ho mai preso il classico “caffè” per ingraziarmi un capo di qualsiasi genere, men che meno quelli che non stimavo o che mi stavano cordialmente (e reciprocamente) sulle balle. Non solo oggi, ma in nessuno dei (tanti) lavori e lavoretti che ho fatto da quando ho raggiunto la maggiore età e ho capito che per andare all’università servivan soldi.
Non ho mai frequentato casualmente i negozi o i mercatini dove avrei potuto trovare qualcuno con cui era meglio instaurare una solidale e positiva sintonia di gusti, né tanto meno mi sono lanciato in lodi sperticate per iniziative che non condividevo o per scelte che mi sembravano errate o decisamente guidate da una chiara strategia “ad minchiam”.
Alla lusinga ho sempre preferito il lavoro. All’oscillazione verticale del capo, la battuta sagace e provocatoria. Alla puntuale identità di vedute, il suggerimento di possibili opzioni alternative. E infatti, a trentotto anni, non rivesto posizioni di particolare importanza, anche se ho sempre cercato di svolgere il mio lavoro al meglio, mentre tutto intorno a ogni primavera sbocciavano fiori di colori diversi, anno dopo anno, vertice dopo vertice, sigla dopo sigla. E sinceramente qualche risultato credo anche di averlo raggiunto.
Che ci volete fare, io son fatto così. E non mi interessa se non piace. Non faccio il manichino e non faccio il portaborse. Non faccio nemmeno politica, anche se tutti sanno come la penso, perché non ne avrei la pazienza né la capacità di sopportazione necessaria. Cinismo e senso dell’opportunità, poi, proprio non mi appartengono. Cerco con fatica le mie motivazioni e lavoro, vado avanti. Tentando di alimentare, quando ne ho l’occasione, anche la parte più folle e imprevedibile di me, quella che deriva dalla mia famiglia di artisti, probabilmente. Senza preoccuparmi delle apparenze.
Perché tutto questo pippone? Boh, sarà il periodo. Sarà l’ennesima primavera, coi relativi fiori. Sarà che ieri sera guardavo i miei bimbi, in metropolitana, così curiosi di ogni novità, così assorti e concentrati a capire il mondo e le cose che li circondano. Così innocenti nella testa e nel cuore da far tenerezza a chiunque, non solo al babbo sentimentale che hanno. E mi dicevo: voglio che diventino come me? O è meglio che facciano come tanti altri, che vivono la propria vita più o meno onestamente, vendendosi quel poco che basta per ottenere qualcosa in un mondo che – diciamocelo – rischia di fare sempre più schifo e di essere sempre più oscenamente competitivo ed esclusivo?
Ecco, su due piedi non saprei cosa rispondere. Forse proprio come me è meglio che non diventino, ma di sicuro sarei molto orgoglioso che un giorno, da adulti, potessero scegliere dicendo: “No, questo il babbo non l’avrebbe fatto!”. Sarebbe già molto e mi ripagherebbe di tutti i caffè che non ho preso e di tutte le volte che la mia testa è rimasta ben salda sul collo. E la mia lingua affilata, invece che consumata.
Vaìa
Ciao Mauri…sembravamo cos’ diversi, e invece ora vedo che siamo così simili. Piuttosto cresco poco, ma so di aver dato il massimo e che tutto quel che ho raggiunto è dovuto al fatto che mi sono fatta un tombino così. E’ accaduto sempre, in ogni posto di lavoro in cui sono stata… e ne sono piuttosto fiera.
Un abbraccio
Dona