Dai, ti aspetto ancora un po’


Vicino a Torino un ragazzino di 11 anni si è lanciato dal balcone. Quando l’hanno soccorso, incolume dopo un volo di cinque metri, ha detto semplicemente: “Volevo raggiungere Thomas”, un suo amico morto qualche tempo fa.

Sui giornali, come sempre in questi casi, professori, psicologi, pedagoghi e genitori dicono la loro. C’è chi parla di un lutto difficile da dimenticare, anche se l’amico non era proprio dei più stretti. C’è chi dà consigli su come raccontare questo tipo di eventi ai bambini (“è volato in cielo”) e chi racconta di come quando ancora non si conosce il male del mondo sia difficile accettare l’abbandono totale a cui ci obbliga la morte.

I genitori del ragazzo, come è giusto e comprensibile che sia, non credono alla faccenda dell’amico scomparso. Pensano ci sia altro, qualche altro trauma incoffessabile o semplicemente nascosto. La scuola… gli amici. Le normali difficoltà di chi si affaccia all’adolescenza e assaggia l’amaro per la prima volta. E si colpevolizzano, come farebbe chiunque al loro posto.

Io non so. Probabilmente hanno ragione un po’ tutti. Probabilmente il ricordo e il dolore per l’amico scomparso sono stati solo la causa scatenante, non l’unica.  Però di fronte a storie come queste, anche un disilluso cronico come me non può fare a meno di pensare che ci possa essere qualcosa di più dietro. Per esempio a me piace immaginare che quando è salito sul davanzale del balcone e ha guardato giù prima di lanciarsi, qualcun altro si sia affannato a buttare un occhio da molto più in alto e lo abbia accompagnato dolcemente fino a terra. “Anche io ti voglio bene amico mio, ma è presto. Dai, ti aspetto ancora un po'”.

Poi chiaramente mi sento un bischero a far certi ragionamenti. Perché nell’aldilà non ci credo e comunque, se mi va di lusso, ci capirò qualcosa solo quando mi toccherà andarci. Per cui smetto di immaginare, mi irrigidisco il cuore e rifletto anche io sulla scuola, gli amici e qualche problema incoffessabile o semplicemente nascosto. Felice per il lieto fine, almeno questa volta.

Vaìa

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