In trincea


In trincea

Tutte le guerra hanno una cosa in comune: se non sei pazzo, non te le cerchi. Semplicemente ti travolgono. E una volta che ti ci trovi dentro o fuggi o combatti. Basta che ti arrivi un giorno a casa la notizia di un attacco imprevisto, di un nemico nascosto che ha scelto proprio te, la tua famiglia, il tuo mondo per darsi da fare. Da lì in poi cambia tutto, non puoi fare finta di nulla. Non è coraggio, non è grandezza d’animo. È istinto di sopravvivenza, puro e semplice. Roba tipo quelle frasi fatte da film americano: “O lui o te, capisci Jack? Così ho preso il mio fucile e ho fatto quello che andava fatto per tornare a casa. Cristo Jack, lo capisci?”.
Lo capisco eccome. L’ho fatto anche io. Sono uscito dalla trincea, ho preso il coltello e me lo sono strappato via di dosso, il nemico. Poi ho lasciato guarire le ferite e mi sono messo a fare il mio dovere, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Col sole e con la pioggia. Col caldo che ti fa sciogliere il volto e con il freddo che ti ghiaccia il sangue e le mani.
L’ho fatto perché andava fatto. Senza credere alla propaganda, ma solo a quello che vedevo, sentivo e volevo. E ho continuato finché qualche burocrate è venuto a dirmi che bastava così e che potevo tornare a casa. Un grazie sentito nelle orecchie e una piccola medaglietta ricordo appuntata sul petto, poco sopra i miei segni nascosti, incisi sulla carne il giorno della battaglia.
“Il segreto?”, mi chiedi. Non ci sono segreti. Ti comporteresti allo stesso modo anche tu, stanne certo. Quando non hai alternative, l’impossibile diventa possibile. Il dolore sopportabile. L’angoscia un’amica pressante ma sincera, con cui convivere. Non è questione di coraggio. È che ci si abitua a tutto.
Se proprio vuoi ti posso dare un consiglio, anche se il ruolo del saggio non mi è mai piaciuto. Vai per la tua strada, lascia stare i numeri, le possibilità, le percentuali. Non fare domande se qualcuno non torna dal fronte. E se ti dicono come devi comportarti, alza le spalle e rimettiti a scrutare l’orizzonte fino alla fine del tuo turno. Orecchie spente e mente concentrata. Tu lo sai che è tutto un caso. Le pallottole piovono e non c’è modo di evitarle. Solo centimetri di troppo, a destra o a sinistra, sopra o sotto. È questa l’unica differenza fra la vita e la morte. Qualche centimetro.
Nelle licenze vivi la tua vita. Non pensare troppo. Non lasciarti andare a facili confidenze. Non permettere che nessuno ti guardi come se fosse l’ultima volta. Lascia che gli altri dicano e facciano. Tu sai cosa dire e fare, non hai bisogno di nulla. Soprattutto non hai bisogno di storie e aneddoti. O di consigli, i miei compresi. Se dovesse mai arrivarti la cartolina azzurra che ti richiama alle armi, aprila a testa alta e fai quello che devi fare, senza vergognarti di avere paura o di sentirti debole. Scappare non serve. Prima o poi ti raggiungerebbero e ti presenterebbero un conto ancora più salato.
Ricordi quella canzone che ci piaceva tanto? Possiamo essere eroi, anche se solo per un giorno. O vivere la nostra vita e le nostre guerre restando noi stessi, anche se pronti a tutto. Che poi, a ben vedere, è la stessa identica cosa.
Ma sai qual è la cosa migliore di tutto questo? Che quando sarai di nuovo a casa, scoprirai di non avere più paura di nulla. Ogni problema ti sembrerà all’improvviso affrontabile e ogni fastidio una sciocchezza. Avrai voglia di risolvere i banali intoppi della vita presto e bene, costi quel che costi. Ciò che ti faceva paura ti farà sorridere e ogni minaccia, ogni prepotenza ti darà solo la voglia di reagire, in modo rapido e chirurgico. Perché la trincea ha questo di bello, ti fa venire voglia di lottare per la pace, non appena la riconquisti.

Vaìa

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