Un anno fa a quest’ora, sono circa le 8 di mattina, l’equipe del Centro trapianti di fegato delle Molinette di Torino probabilmente aveva già praticato la prima incisione e stava per mettersi a ravanare nel mio addome. Obiettivo: quella simpatica ghiandolina di circa 13 centimetri a cui la provvidenza ha dato l’incarico di produrre insulina ed enzimi digestivi.
L’operazione che ho fatto, ho scoperto solo in seguito, era una delle più difficili della chirurgia addominale. Tralascio i particolari, per riservatezza e per pudore. Ma a quanto pare c’erano anche possibilità, in fondo non così remote, di lasciarci le penne o di andare incontro a serie complicazioni, nell’immediato, nel breve e nel medio lungo periodo. Questo per limitarsi al puro e semplice intervento.
Probabilmente 10 o 15 anni fa, adesso, non sarei più qua. Così come non sarei qua se non fossero intervenuti subito. Si parlerebbe di me come di qualcuno che in molti hanno conosciuto, che qualcuno ha apprezzato per svariati motivi, che qualcuno ha perfino amato e che – spero – ha lasciato un buon ricordo in quasi tutti quelli che c’hanno avuto a che fare. “Ah, Gomboli sì, povero, me lo ricordo…” e via con l’aneddoto personale.
Invece un anno fa a quest’ora, sono circa le 8 e 10 di mattina, le mani nel mio addome ce le hanno messe chirurghi capaci e preparati, addestrati per ogni situazione di emergenza e non a caso operativi in uno dei centri di eccellenza a livello nazionale. E ce le ha messe, nel momento più delicato, Mauro Salizzoni, uno che davvero ha bisogno di poche presentazioni.
Così mi sono salvato.
È stata dura, me lo avevano detto chiaramente. Ma se adesso penso, progetto, lavoro, gioco con i miei figli, scherzo, corro, mi incazzo, amo e sono tornato a vivere (quasi) normalmente lo devo a lui e a loro. Così come lo devo a chi mi ha preso in cura all’inizio e mi ha indirizzato verso i migliori specialisti, senza perdere tempo e lasciando da parte l’orgoglio di dire “il paziente è mio e ci penso io”. Così come lo devo a chi mi ha seguito dopo, consigliandomi e curandomi con capacità e sensibilità. Sempre col sorriso.
Un anno dopo, all’incirca alla stessa ora, non posso fare a meno di pensare a tutte queste persone, medici e infermieri, e a ringraziarle ancora una volta dal profondo del cuore. Portando la mia piccola testimonianza a supporto di chi ogni giorno dimostra coi fatti che la sanità non è soltanto un gioco di numeri, di costi da tagliare, di inefficienze da eliminare, di baronati da abbattere. Per carità, sarà anche questo. Ma è prima di tutto ricerca, passione, lavoro duro, coraggio e capacità di tenersi sempre a passo coi tempi e con le tecnologie mediche, dando un futuro a chi un futuro rischia davvero di non averlo più.
E se tutto questo costa moltissimo o è perfino in perdita, perdonatemi, ma non mi interessa minimamente. Ci sono cose che devono essere tutelate indipendentemente da tutto. La sanità pubblica e funzionante è forse la più grande conquista di questi tempi sventurati. Ricordiamocelo, ogni tanto.
Vaìa