Quando sta male una persona che amo, mi tornano in mente di lei i ricordi più strani. Di mia madre, questa mattina, mi è tornata in mente una sua bizzarra abitudine di quando da piccolo mi portava al cinema. Tutte le volte arrivavamo in ritardo, a film già iniziato, e non c’era verso che riuscissi a capire mai del tutto la storia. Anche se era solo un cartone animato o uno di quei film tutto cazzotti di Bud e Spencer che davano solo la domenica, al cinema Star sotto casa, dopo una settimana di soft-porn e commedie spinte (Erano gli anni ’70 e s’usava così. Ancora non era tempo di riconversioni a supermercati o condomini nuovi di zecca. I cine spesso erano luoghi piccoli e ruspanti, che accontentavano tutti).
Di fronte alle mie lamentele, mia madre si lasciava convincere e mi permetteva di restare anche per l’inizio dello spettacolo successivo, per mettersi in pari. Mi ricordo ancora quella sensazione di superiorità che mi prendeva ogni volta che gli altri, quelli arrivati in orario, uscivano dalla sala ed entravano i nuovi spettatori. Le luci che si accendevano e si spegnevano di nuovo. Mi pareva di essere un privilegiato o uno di quelli furbi, che trova il modo di vedersi due spettacoli al prezzo di uno solo (non so nemmeno se oggi sarebbe ancora possibile, ma temo di no…).
Quando ricominciava il film era bello sapere come sarebbe andato a finire prima degli altri. Conoscere già il ruolo e il destino dei personaggi appena si affacciavano sulla pellicola. Mi faceva sentire sicuro, quasi onnipotente. Quando uscivamo dal cinema, al buio come vi eravamo entrati, tutti ci guardavano un po’ strani e a me scappava sempre da ridere.
Vaìa
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