Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capire cosa volesse fare con quella pistola. La teneva in mano come un oggetto estraneo, che non era in grado di dominare. Cercava di non darlo a vedere, ma non appena era certo che nessuno lo guardasse i suoi occhi, velocissimi, cadevano sulla canna bruna dell’arma. Un batter di ciglia, un movimento da niente, impercettibile. Come a controllare che fosse tutto a posto: la pistola con la canna puntata dalla parte giusta, i clienti terrorizzati immobili davanti a lui (molti con la faccia a terra) e i cassieri, bianchi come stracci, impegnati a riempire freneticamente la borsa che aveva lanciato sul bancone, insieme a poche parole balbettate una dopo l’altra: “Me… mettete den… dentro tutto quello che a… avete!”. Più lo guardavo e più me ne rendevo conto. Eravamo nelle mani di un principiante.
Per questo ho deciso che non potevo starmene con le mani sulla testa, come un prigioniero qualsiasi, seduto per terra a farmi spaventare da un pivello della rapina. Avevo fatto il carabiniere, io. Sapevo come andavano certe cose: più mostravi paura più qualcuno rischiava di farsi male. E poi c’era quella orrenda cicciona, accasciata proprio vicino a me, dalla pelle rosa e sudata. Come un maiale affannato, dal respiro pesante e lo sguardo atterrito di chi già assapora il macello. Non potevo passare un solo minuto di più in quella situazione. Così mi mossi, approfittando della mia posizione defilata. Ogni volta che quello abbassava gli occhi sulla canna o sugli ostaggi mi spostavo impercettibilmente verso sinistra. Un po’ più lontano dalla grassona e un po’ più vicino all’orribile pianta finta (un ficus?) che si trovava a metà fra me e la porta di ingresso. Uno sguardo, un centimetro. Conquistato faticosamente scivolando piano sul linoleum rosso scuro della banca, verso la fuga.
Ero sicuro di farcela. All’inizio nemmeno la cicciona si accorse dei miei movimenti. Accasciata per terra con il sedere sudato appiccicato al pavimento, se ne stava inebetita a fissare la bocca della pistola, che pareva proprio puntata sul neo a forma di pera che aveva sulla fronte. Si era lasciata cadere al canonico “Mani in alto!” e aveva iniziato ad andare subito in iperventilazione. Inspirava oscenamente dalla bocca e buttava fuori l’aria dal naso, con un rumore che mi ricordava quello del mantice rotto che usava mio padre per ravvivare il fuoco in montagna. Piccoli rivoli di sudore le colavano da entrambe le guance, per darsi appuntamento sul mento e gocciolare proprio nella scollatura del suo dozzinale vestitino a fiori troppo aderente. Ero quasi arrivato al mio obiettivo (avrei potuto persino provare a sfiorare alcune foglie di plastica con le dita), ma non riuscivo a toglierle lo sguardo di dosso. Il ritmo ossessivo del suo respiro e il suo neo alla frutta mi avevano ipnotizzato.
Dicono che se fissi insistentemente qualcuno, prima o poi se ne accorga. Forse è davvero così. Ero quasi arrivato alle spalle del rapinatore, quando la donna si girò improvvisamente verso di me, mettendomi a fuoco e sottolineando il tutto con un gridolino di paura, stupita e indispettita dalla mia prolungata osservazione. Qualche istante dopo gli occhi che mi guardavano erano quattro. Il Vallanzasca in erba si era accorto di me, ritrovandosi all’improvviso con un ostaggio alle spalle. Un comportamento che deve aver trovato decisamente inappropriato per un ostaggio, visto che mi ha sparato senza nemmeno pensarci, scaricando d’un tratto tutta la tensione accumulata a reggere il peso della pistola.
Per tutto il tempo che il proiettile ci ha messo ad arrivarmi dritto in mezzo agli occhi, ho ripensato a quegli ultimi minuti in banca. Mi ero mosso lentamente e con prudenza. Sono certo che se fossi riuscito ad alzarmi non ci avrei messo più di un secondo a disarmare quel ragazzetto senza che nessuno si facesse male. Ma a quanto pare avevo fallito. E proprio nel momento in cui iniziavo a sentire un fastidioso bruciore alla fronte, mi ricordai delle tre regole che mia madre mi ripeteva da piccolo per educarmi (“Sono regole d’oro, amore, cerca di ricordarle sempre”): “Non parlare con la bocca piena”, “Non raccontare bugie” e, soprattutto, “Non fissare le persone che non conosci”. Ero sempre riuscito a rispettarle, fino a quel momento.
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