Firlifù è venuto a trovarmi, la prima volta, su una spiaggia della Costa Azzurra. Era il 2012 e non aveva ancora un nome. Era solo un’idea, un abbozzo di risposta a una domanda: “Perché hai una medaglietta con un cavaliere che uccide un drago, babbo?”.
Erano le 8 di sera e stavamo mangiando gamberetti come se non ci fosse un domani. Solo un anno prima ero stato molto vicino a quel drago, ne avevo sentito il calore del fiato sul viso e ne portavo ancora freschi i segni sul corpo. Anche in quella splendida giornata di luglio.
Così, quasi senza pensarci, ho cercato le parole per raccontare di lui ai miei figli. Di come fosse arrivato, senza un motivo se non l’invidia del mondo, e di come fosse stato ricacciato indietro dalla magia e dall’amore. Perché nessuna battaglia è persa in partenza e perfino i draghi possono essere uccisi. A ben vedere non serve nemmeno essere veri cavalieri.
Giorno dopo giorno quella favola improvvisata si è trasformata in qualcosa di molto più solido e reale, e i suoi personaggi hanno preso vita grazie alle forme e ai colori che mio fratello ha immaginato per loro. Ed è bello oggi poter condividere tutto questo con voi, come se fossimo ancora su quella spiaggia a inventare storie e a divorare gamberetti, stupiti di poterlo fare.
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Vaìa