Un giorno il Capo, che era il Capo e quindi aveva ragione per diritto divino, si trovò per le mani il racconto di un giovane ingenuo e presuntuoso, convinto di poter scrivere dei massimi sistemi senza nemmeno aver imparato a farsi la barba come si deve. Quello che il Capo gli disse rimane ancora oggi chiuso in un cassetto della mente di quel ragazzino ormai invecchiato, sotto l’etichetta “lezioni di vita”.
Come ammenda, il giovanotto scrisse un altro breve racconto: “L’editore”. Al Capo piacque e si fecero una bella risata, nella redazione del giornale dove si trovarono a passare molto tempo insieme, qualche era geologica fa. L’uno insegnando e l’altro imparando come poteva.
Qualche giorno dopo che il Capo se è andato ho riaperto quel cassetto e mi sono fatto un’altra bella risata, alla sua memoria.
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L’editore
“Per aria?” chiese l’ospite.
“Per aria, per aria… Coi piedi per aria. Che scemenza!” rispose l’editore. E giù un bicchiere. Il terzo. “Gesù, già lo sento che mi metterò a straparlare. Tre bicchieri in dieci minuti. È che questo racconto mi ha ucciso”.
“No, dai può avere un suo senso poetico. Che so… un’immagine particolare, una metafora” ribattè l’ospite tracannando un cognac. “Ottimo!” aggiunse guardando con gli occhietti sognanti il bicchiere vuoto.
“Macché! Sono stanco di giovinastri metaforeggianti. Questo poi parlava di mondi metafisici, stanzette senza mura… Ne ho le palle piene. Ma cosa vuol dire? Nove pagine fitte di stronzate. Nove pagine! La carta merita più rispetto. La figura del custode delle anime poi è insopportabile… e per di più scontata”
“No, dicevo ottimo il cognac – rise l’ospite – del racconto non so nulla. A parte il fatto dei piedi per aria e che è una stronzata, almeno a dir tuo. Ma di cos’è che tratta?”
“Pietà, non me lo far ricordare, non ne ho voglia. Domattina lo pseudo Kafka mi si piazzerà di nuovo davanti con quella facciona da sbarbatello intellettuale e mi sbatterà in faccia il suo sorriso trepidante in attesa del mio responso. Che vuoi che gli dica? Vaffanculo bello! Ecco cosa gli dirò. Restituisci le braccia all’agricoltura. Aria!”
“No che non lo farai. T’incazzi, sbraiti tanto, ma non mordi. Gli spiegherai per filo e per segno i suoi errori. Magari lo conforterai, pure. Lasciami indovinare… ripartirai con la solita lezioncina sui punti di vista e i registri linguistici”
L’editore si agitò sulla poltrona di cuoio del salotto, lasciando sfuggire un verso dalla bocca deformata.
“Hai proprio una faccia da schiaffi” disse all’ospite. “Devo ricordarmi di non invitarti più, mi conosci troppo bene. Credo però che inizierò col fargli fare una decina di flessioni”
“Ah, e poi sarei io ad avere la faccia da schiaffi! Non dire menate, dai. Allora… Me lo vuoi dire una buon volta di cos’è che parla ‘sto benedetto racconto? E chi sarebbe questo custode?”
“Sei un cinico”
“Sì, ma curioso. Racconta!”
“L’hai voluto tu. Dunque, un tipo arriva di punto in bianco in una specie di posto sospeso nel nulla”
“Coi piedi per aria?” lo incalzò l’ospite.
“Per forza coi piedi per aria, t’ho detto che è sospeso nel nulla! E qui chi ti incontra ? Il guardiano!”
“Di che?”
“De ‘sto par di palle! Mi fai continuare? Delle anime, il Guardiano delle anime! Le senti le virgolette nell’aria? Hai capito adesso? Un tizio che immagino abbia la faccia dello scienziato standard dei film di fantascienza, talmente fuori di testa da spostare con le dita le anime di chi si perde. Oddio, meglio bere ancora”
“No, senti, così sono io a perdermi, altro che le anime. Il nocciolo del discorso qual è? Ci sarà pure una struttura, una logica”
“Una logica, dici? Io l’ho capita solo dopo averne parlato col mio psicologo. Cinquanta carte m’è costata la logica di quel coglione! Comunque ‘sto coso… il guardiano… sta lì a controllare che lo spirito di vita presente in ogni essere vivente – Gesù, perché a me? – vada dove è destinato ad andare, senza perdersi. Il tutto davanti a un monitor in cui le anime delle persone sono rappresentate da puntini luminosi. Poi, nel momento in cui un’animella si perde – in tal caso appare sullo schermo una specie di striscia luminosa – la spedisce col suo ditino magico dritta dritta a casuccia sua. Manco fossimo in una torre di controllo la vigilia di Natale”.
“Ah…”
“Lo, so. Dai, basta così ti prego”
“E no, bello. Adesso continui. Voglio arrivare fino in fondo. Il coso sposta le anime come Superman. Ma chi è? Non mi dire nulla, lasciami indovinare… Sarà mica Dio? Spero di no, troppo banale”
“Deve averlo pensato anche il giovinastro. Infatti non è Dio. Secondo me ha avuto due o tre orgasmi autocelebrativi al pensiero di quanto è stato furbo a non fargli fare il Dio della situazione. Io li odio i giovinastri tipo “so-tutto-io-che-agli-altri-gli- faccio-una-pippa”. Direi che il Guardiano è una specie di impiegato celeste. Non sa un beato cazzo, ma quanto filosofeggia! Ah alla fine, tanto per lasciare un po’ di lacrime sul foglio, il coso muore pure…”
“Come sarebbe a dire: muore? Ah beh, per forza, il tipo che arriva lo sostituisce. Chiaro come il sole”
“Proprio così. Banale! Solo che il giovinastro deve aver pensato d’essere un genialone e di fare il colpo di teatro finale. ‘Piangeva sommessamente’, ha scritto proprio così! No, ti rendi conto dello schifo? Quando la cariatide muore il nuovo Guardiano piange ‘sommessamente’. Signore sia fatta la tua volontà!”
“Ma sei proprio sicuro? Dio, è orrendo!”
“Certo che sono sicuro! E chi se lo scorda? Anzi, guarda, c’ho qui il racconto, aspetta che ti leggo il passo, che ne vale la pena. Ma dove cazzo ho messo gli occhiali, santo cielo… Ah, ecco! Ascolta: …il giovane si avvicinò al vecchio e lo prese per mano. Piangevano piano, sommessamente. Dava una tristezza strana piangere la morte di una forma e non della vita. Ma il Guardiano non ci sarebbe più stato, sparito nel nulla, affogato nel mare dell’esistenza (Ma cos’è “Il vecchio e il mare”, cazzo?). ‘’Stai attento a non farmi perdere’, disse il vecchio al giovane Guardiano, con uno sguardo lucido e dolcissimo ‘Ora sei tu il padrone della macchina’. No, dico… Hai sentito bene?”
“Una porcata immonda!”
“Una porcata completa. Ma questa è solo la trama, anche lo stile fa pietà. Ripetizioni, errori di registro e di lessico. Io che faccio? Lo frusto?”
“Lascia stare, consiglialo. Magari col tempo…”
“Magari col tempo smette di scrivere e buonanotte al secchio!”
L’ospite si alzò un po’ barcollante. “Gesù, troppo cognac” disse ridendo. “Senti io me ne vado. La cena era squisita e il liquore pure. Ma ho sonno e domani si lavora. Comunque non farla troppo tragica. Mica lo devi pubblicare per forza”
“Sì, ma certe cose mi deprimono, capisci?” rispose l’editore guardandolo dal basso in alto, sprofondato nella poltrona, con due occhi decisamente velati. “Mi è stato caldamente raccomandato e non posso mandarlo al diavolo come vorrei. E poi è una questione di principio. Bisogna proprio essere deficienti e desolatamente megalomani per voler scrivere la storia del mondo in nove paginette di… di…”
“Di minchiate. Me lo hai già detto. Non è che l’alcol ti fa diventare ripetitivo? Ciao bello. Non mi morire di infarto stanotte, che mi faresti sentire in colpa”
L’editore lo seguì con lo sguardo annebbiato fino alla porta del salotto. Poi lo salutò con un cenno appena abbozzato.
“Che faccio, cazziatone generalizzato o ramanzina su registro e punti di vista?”
L’ospite lo guardò ridacchiando. Poi, serio serio, rispose “Trenta flessioni”.
E uscì.
Vaìa