Munich 1972


[tag]Munich[/tag]. [tag]Monaco[/tag]. Le [tag]Olimpiadi[/tag] del 1972. I volti tesi dalla paura e dall’odio. La consapevolezza della morte che si avvicina. L’inevitabilità della vendetta israeliana. I puri che si contaminano perdendosi nella insensibilità dell’omicidio come strumento per rivendicare la propria giustizia morale.

Nel film di [tag]Spielberg[/tag] c’è tutto questo. Senza un briciolo di retorica. Raccontato con l’occhio lucido di una cinepresa che indugia sugli sguardi, sulle azioni, sulle banalità della morte, sugli imprevisti e sul coraggio idiota di proseguire dando ascolto a un’ideale che si riconosce sbagliato.

Il film l’ho visto ieri, condedendomi due ore e mezzo (eh sì… è lungo) di pura immersione nelle trame del terrorismo arabo anni Settanta. Per ritrovarmi, all’ultima sequenza, davanti all’immagine fissa delle due torri di [tag]New York[/tag] nel 1973. Moloch di acciaio appena edificati, vittime designate di un mondo incapace di cambiare e di ideali che ventotto anni dopo ne avrebbero decretato la fine.

Nella certezza assoluta, allora come oggi, che la guerra sia necessaria e la vittoria sicura, da una parte e dall’altra. Indipendentemente dagli anni che si dovranno passare a uccidersi l’un l’altro. Con la kefiah intorno al collo o la stella di Davide sul cuore.

Vaìa

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