Spiegatemi un po’ voi perché a volte si è tanto teste di cazzo. No, perché se incontrate una persona che conoscete e che non vedete da un sacco di tempo che fate? Anche se vi dà fastidio, per un qualche motivo inutile che sapete solo voi, comunque vi fermerete a salutarla. E non intendo se la vedete di sfuggita dall’altro lato della strada seminascosta da un semaforo. Voglio proprio dire se la incrociate a meno di un metro, che vi guarda negli occhi mentre il volto le si illumina. E si capisce benissimo che vi ha riconosciuto e sta per dirvi sorridendo che non ci può credere, che vi trova bene, che vuol sapere cosa avete fatto tutto questo tempo. E bla bla bla.
Anche se vi dà fastidio, per un qualche motivo inutile che sapete solo voi, risponderete al suo saluto e farete finta di interessarvi ai suoi ultimi dieci anni di vita. E magari vi interesserà davvero perché avrete fatto delle cose insieme, che so, eravate compagni si scuola, nella stessa classe, perfino compagni di banco per un anno intero! E adesso questa persone ve la ritrovate non solo accanto per caso nella strada. Ma anche collega sul lavoro, perché il posto dove l’avete incontrata non è una via qualsiasi della città, ma è l’ingresso della vostra azienda, proprio vicino alla timbratrice (gneeeeeeeeee) il cui suono paranoico scandisce i momenti delle vostre giornate istituzionalmente tutte uguali. Da quando entrate (gneeeeeeeeee) con ancora il sonno addosso a quando uscite per pranzo (gneeeeeeeeee).
Perché voi siete persone ragionevoli e lungimiranti. Se incontrate qualcuno in situazioni simili lo saluterete con vigore, perfino con piacere. Magari vi farà vedere la foto del figlio, che avrà l’età del vostro, e vi spiegherà che dopo il liceo ha preso ingegneria, anche se tutti lo sconsigliavano dopo aver speso cinque anni dentro al liceo classico. Oppure vi confesserà che non è mica riuscito a laurearsi, anche se a scuola era tanto bravo che più di una volta si è sentito moralmente in dovere di darvi una mano. Una mano a voi! Poveri pezzenti del pensiero letterario col cervello incastrato davanti a una frase di Tacito.
Qualsiasi cosa direte o farete, da allora vi legherà una nuova consapevolezza. Quella di esservi conosciuti quando il mondo era una promessa e il futuro un regalo ancora da scartare. Anche se tutto sembrava essere sempre e comunque più grande di voi, terribilmente lontano nel tempo, inavvicinabile. Una consapevolezza che vi renderà complici, quando in mensa sarete uno in coda all’altro indecisi sull’insalata “nizzarda” o in dubbio su quale contorno insipido accostare al brasato scotto che danno di secondo. Che vi renderà amici, perfino, quando ci sarà da scannarsi su un progetto particolarmente difficile.
Qualsiasi cosa vi direte o farete, non dovrete nascondervi ogni volta che la incrociate o che esce dall’ascensore (sempre davanti a voi, neanche a farlo apposta!). E se non c’è nessuno spigolo o cartellone o porta aperta a darvi una mano per scomparire non sarete costretti – cosa peggiore di tutte – a tirare dritto con gli occhi assurdamente fissi davanti al vuoto che vi precede, o facendo finta di interessarvi alle istruzioni su "cosa fare in caso di incendio". Pronti a perdervi nella copertina della vostra agenda, mentre sentite bruciare sulla pelle la mortale sensazione di aver mancato a un dovere prima di tutto etico. Rispondere a un saluto, da qualunque parte arrivi.
Non dovrete chiedervi ogni volta perché quel giorno, proprio poco prima che il volto dell’altro si illuminasse per passare dalla sorpresa alla parola, avete deciso di tirare avanti facendo finta di nulla. Solo perché vi pareva uno sforzo troppo grande raccontare gli ultimi anni della vostra vita a chi vi ha visti adolescenti e inadeguati, impreparati al mondo e straboccanti di quella paura di non farcela mai e di essere sempre tremendamente inadeguati che oggi siete riusciti a nascondere sotto una patina di professionalità soltanto dopo estenuanti allenamenti.
Non dovrete sperare, quando scorgerete in lontananza una sagoma familiare, che in realtà non si tratti di lei. Perché quella persona voi non vorrete vederla mai. Nemmeno in fotografia. Non vorrete neanche sentirla nominare! Tanto vi fa sentire cretini. Non dovrete fare come faccio io, insomma. Accidenti a me e alla mia idiozia! Che per non voler attaccar bottone una volta, mi son trovato a scivolare lungo i muri, nella paura di incontrare l’oggetto della mia vergogna.
Vaìa
voglio dettagli…
E che vuoi dettagliare… E’ un racconto. Come tutti ha una base reale e una (la maggiore) immaginaria.
non ho capito una sana sega
quindi hanno un assunto un tuo ex compagno delle superiori che ti stava sul cazzo..hai fatto l’errore di salutarlo e mo sei costretto parlarci pure mentre mangi in quella squallida mensa?
che orrore!
fortuna che noi qui non abbiamo nessuna timbratrice…ahahahah
Ammazza che zucconi di lettori che c’ho…
Ciao, caro vecchio “Bulè”,
ho appena finito di leggere il racconto “all’oggetto” e ho rivisto due timidi ragazzini di quarta ginnasio “conosciuti quando il mondo era una promessa e il futuro un regalo ancora da scartare”.
Bellissimo…….oggi di quei ricordi ci vivo, allora sembrava solo di navigare in un mare di merda, rimembri……
Scusa l’intromissione, sono capitato sul tuo blog per caso, ti ho ritrovato come eri allora e questo mi fa davvero piacere….
Continua a giocare alla Play, a tifare viola senza alcuna oggettività ;), ad essere un ragazzino dentro e a scrivere tutto questo.
Leggerti mi ha reso felice.
Emanuele Rossi (se ti ricordi ancora di me)
Emanuele! Ma certo che mi ricordo, ci mancherebbe altro! Diavolo, mi fa piacere che sei passato da queste parti… Spero che ti vada tutto alla grande. Se ripasserai sarà sempre un regalo graditissimo. Un abbraccio, Maurizio