Valentino


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Le foto, in bianco e nero, sono quelle di un funerale senza precedenti. Le persone, molte con il cappello in mano di fronte ai carri con i feretri, sono assiepate in piazza Castello. Alcune sono aggrappate ai lampioni, per vedere meglio. Di macchine neanche l’ombra, non è ancora tempo di ingorghi.

Piove. Fuori dal finestrino non si vede a un palmo. Valentino sorride della sua preoccupazione. “L’importante è che ci veda il pilota”, pensa. Le nubi nascondono la vista della collina, poco lontana. Il Capitano sente la stanchezza farsi strada dentro di sé e vi si abbandona sicuro.

Ancora immagini sbiadite, che scorrono lente. La coda dell’aereo spunta da un muro distrutto. Un enorme pneumatico, detriti di ogni genere. Fogli, bagagli, affetti, persone. I dettagli si perdono nella grana grossa delle foto di giornale. Ed è un bene, perché sarebbe troppo doloroso caricarseli sulle spalle e non lasciarli più andar via.

Valentino appoggia la testa sul sedile e socchiude gli occhi. Pensa già alla prossima partita. È una gara difficile, ma al Filadelfia sono gli altri che devono tremare. Con la cosa dell’occhio avverte un bagliore, l’aereo vibra in modo strano. Il buio lo accoglie come un padre premuroso, facendogli dimenticare paura e dolore.

Sul campo il Capitano si rimbocca le maniche della maglia. È il segnale della riscossa. Il simbolo di una volontà di vittoria che non conosce ostacoli. Una delle ultime foto lo ritrae così. Il sorriso generoso, le mani appoggiate sui fianchi e il pallone a pochi passi. Le braccia nude spuntano da una casacca che appare grigia scura. Ma che si intuisce color del sangue. E del vino buono.

Vaìa

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